Quanto vive il virus sui diversi materiali?

Secondo le ultime ricerche la carta resta contaminata da 30 minuti a 3 ore, il legno e i tessuti fino 1-2 giorni, il vetro da 2 a 4 giorni e la plastica fino ad 1 settimana.[1]

E proprio quest’ultimo prodotto è stato il protagonista del “Plastics and the Environment: Science Meets Public Policy”, il workshop di due giorni organizzato a giugno 2020 dal MIT (Massachusetts Institute of Technology) con l’obiettivo di fornire a policy-makers, imprenditori un’opportunità di scambio reciproco sulle attuali sfide circa la riduzione, il riuso e riciclo della plastica e di definizione di nuovi percorsi.

Come tutti gli eventi orchestrati sotto l’ombra della pandemia, le circostanze hanno imposto il passaggio al formato digitale. Una nuova logistica che, di fatto, ha ampliato la platea di spettatori e consentito una partecipazione più democratica, mettendo la conoscenza scientifica alla portata di tutti.

Tra i portavoce della visione europea ha partecipato, con un progetto data-driven in collaborazione con SocialMeter, la Dott.ssa Daniela Tulone, alunna del MIT, esperta di innovazione digitale e sostenibilità e fondatrice di ecoSurge. Includendo la piattaforma SocialMeter Suite tra gli strumenti di ricerca, la Dott.ssa Tulone ha analizzato gli effetti del coronavirus sul percorso intrapreso verso la riduzione della plastica e consumi più sostenibili. In particolare, è stato analizzato l’impatto del lockdown e delle ovvie preoccupazioni legate alla salute e all’incertezza economica su consumatori e business. È stato osservato che oltre il 30% dei contenuti pubblicati su web sono altamente correlati a queste tematiche (Figura 1).
Figura 1: andamento temporale (21/02/2020 - 11/06/2020) del parlato in tema plastica, nel complesso (in blu) e in relazione al nuovo Covid-19 (in rosso), Fonte: D. Tulone, “Plastic reduction and covid-19: opponents or allies?”, su dati SocialMeter.
Figura 1: andamento temporale (21/02/2020 – 11/06/2020) del parlato in tema plastica, nel complesso (in blu) e in relazione al nuovo Covid-19 (in rosso), Fonte: D. Tulone, “Plastic reduction and covid-19: opponents or allies?”, su dati SocialMeter.
Quattro è il numero di Osservatori Web e Social creati in vista della ricerca, ognuno focalizzato su un approfondimento tematico specifico: la plastic tax, il riutilizzo della plastica, il riciclo e materiali biodegradabili nel settore food & beverage. L’obiettivo? Studiare il corso della situazione attraverso contenuti pubblicati si blog, siti web, media, siti istituzionali o Twitter, che sono canali di comunicazione indicativi di determinate reazioni, per capire come meglio intervenire.

L’intervista

Buongiorno Daniela, lei è riuscita a catturare l’interesse di aziende e centri di ricerca internazionali attraverso ecoSurge. Ci può introdurre brevemente di che cosa si tratta?

“ecoSurge è un’iniziativa innovativa, nata alla fine del 2019, che comprende professionisti, ricercatori, imprenditori, policy-makers, PMI, no-profit operanti in settori e paesi diversi, con l’obiettivo di mettere a fattore comune le proprie competenze ed esperienze per accelerare l’implementazione degli UN SDGs (gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite).”

 

In che modo? “Facendo leva su tre fattori:
  • l’innovazione digitale e tecnologie come per esempio i Big Data Analysis e Artificial Intelligence;
  • l’innovazione del business con nuovi modelli di business basati per esempio sulla circular economy e open innovation;
  • la cooperazione attiva, come evidenziato dall’ultimo goal degli Sustainable Development Goal (SDGs) delle Nazioni Unite sulla partnership.
ecoSurge non vuole essere un’iniziativa in più, ma nasce con l’obiettivo di favorire le sinergie tra comunità diverse (es. imprenditoriale, tecnologica, accademica, no-profit) e di costruire insieme partendo dalle esperienze sviluppate finora e supportando la scalabilità di soluzioni e iniziative di successo.”  
Quali sono i progetti attivi? “Attualmente ci stiamo focalizzando su due progetti. Il primo è un progetto che analizza attraverso contenuti pubblicati su web e social media l’impatto che il coronavirus sta avendo sul percorso intrapreso negli ultimi anni verso la riduzione della plastica in linea con il dodicesimo SDG “Produzione e al Consumi Sostenibili” dal punto di vista dei consumatori e delle imprese. Il secondo, “Restart Together”, che partirà a settembre, è volto al rilancio delle PMI attraverso la creazione di sinergie su temi di interesse e definizione di nuove idee progettuali.”  
Ed è proprio a partire dal primo progetto che è stata invitata a partecipare (virtualmente) oltreoceano al workshop “Plastics and the Environment: Science Meets Public Policy”, organizzato da MIT. Come ha vissuto l’esperienza? “Avendo lavorato per alcuni anni al MIT, mi sono sentita come a casa. Collaborare con un istituto come il MIT in prima linea nell’innovazione tecnologica e attento agli attuali cambiamenti è fonte di arricchimento e stimolo per un confronto e nuove idee. Avendo lavorato per 10 anni negli USA sono convinta dei mutui benefici che potrebbero venir fuori da una più stretta collaborazione con centri di innovazione e imprese innovative per la loro dinamicità, capacità di mettersi in gioco e di innovare facendo squadra.”  
A questo proposito, come ha conosciuto la realtà SocialMeter? “Ho conosciuto SocialMeter alla fiera FARETE a Bologna lo scorso settembre. Occupandomi anche di data analytics sono stata attratta dal vostro stand e ho incominciato a parlare con Gianluca Nordio del contributo dell’analisi dei contenuti sui social media ai temi legati alla sostenibilità, per esempio nella fase di assessment e per migliorare la nostra consapevolezza. Da quella prima conversazione se ne sono seguite altre con Paolo Errico, il vostro CEO, e con lui è nata l’idea di utilizzare la vostra piattaforma SocialMeter Suite per arricchire un progetto appena lanciato da ecoSurge riguardo soluzioni innovative nel settore food&beverage alternative alla plastica. Ma con il dilagare della pandemia, il lockdown e il suo devastante impatto a livello globale ho sentito la necessità di riadattare il progetto per valutare l’impatto che questi cambiamenti stanno avendo nel mondo della plastica. La pandemia ha cambiato drasticamente le nostre priorità, stili di vita e modo di fare business, pertanto è cruciale cercare di valutarne l’impatto, fare un assessment, rimodulare il percorso precedentemente intrapreso verso consumi più sostenibili, per poi rilanciarlo in maniera efficace.”  
Per quale motivo ha deciso di includere la Big Data Analysis nella sua metodologia di ricerca? “Ho lavorato per molti anni nel settore dei dati e non potevo non considerarli. Non potevo farne a meno! L’analisi dei dati unita all’AI é uno strumento dalle grandi potenzialità che ci permette per esempio di migliorare la conoscenza di fenomeni complessi e dinamici, di studiarne trend, correlazioni e anomalie, metterli a confronto attraverso benchmarks e fare previsioni. Tutti aspetti cruciali in una società più che mai in evoluzione e con un alto livello di incertezza.”  
L’analisi ha risentito gli effetti del lockdown? Che procedimento avete seguito? “Essendo digitale, il progetto non ha risentito del lockdown. Prima del lockdown erano stati aperti nella piattaforma SocialMeter Suite degli osservatori relativi al tema della “plastic tax”, “plastic reuse e circular economy” e “plastic recycle”, osservatori che si sono via via arricchiti di contenuti da web, come blog e siti istituzionali, e da social media come Twitter. Questi osservatori hanno fornito informazioni progressivamente interessanti sui cambiamenti in corso e ci hanno permesso di rapportare il trend in evoluzione con quanto osservato prima del lockdown.”  
Tornando agli obiettivi della sua indagine, in base all’analisi dei contenuti raccolti sul web, quali sono stati gli impatti del Covid_19 sulle percezioni e gli atteggiamenti delle persone? Ha notato delle dissonanze tra aree geografiche? “La pandemia sta avendo a livello globale un impatto negativo sul percorso intrapreso verso produzioni e consumi più sostenibili. Le motivate preoccupazioni per il contenimento del virus e per l’igiene, e il cambiamento di abitudini stanno facendo crescere in maniera sostanziale la produzione di oggetti monouso, sanitari e non, e del packaging in alcuni settori come per esempio nel food. Questo pone dei problemi sullo smaltimento di questi oggetti. Secondo uno studio del WWF se solo l’1% delle mascherine fosse dismesso incorrettamente questo si tradurrebbe in 10 milioni di mascherine al mese causa di inquinamento. La pandemia non può essere affrontata accentuando problemi esistenti e sovraccaricando i nostri ecosistemi già provati dall’inquinamento, come quello marino, con potenziali rischi per la nostra salute.  L’emergenza sanitaria può e deve essere affrontata tenendo conto delle altre emergenze ambientali dal momento che tutte hanno una radice comune: azione distruttiva dell’uomo, miope e protratta nel tempo verso i nostri ecosistemi. Messaggi che contrappongono la salute alla sostenibilità presentando la plastica come “la soluzione” all’emergenza sanitaria e giustificando l’aumento di plastica monouso e la sospensione di direttive già in atto non hanno alcuna base scientifica. Nella nostra analisi abbiamo osservato un calo significativo dell’attenzione verso i temi legati alla produzione e consumi sostenibili, al riciclo della plastica e alla circular economy. Tali effetti sono più evidenti in alcuni paesi. Per esempio, negli USA alcuni stati hanno sospeso non solo il riciclo della plastica, ma anche direttive in uso. Questo rischia di minare abitudini sostenibili recentemente intraprese dai consumatori per esempio nel riutilizzo di oggetti. Sono segnali che rischiano di compromettere i passi in avanti compiuti negli ultimi anni e che inviano messaggi fuorvianti ai consumatori del tipo “Non è tempo adesso di pensare alla sostenibilità, quando tutto finirà riprenderemo il percorso”, ignorando il monito degli scienziati secondo i quali il rischio di pandemie e di eventi estremi è destinato ad aumentare.”  
Invece, gli effetti sui percorsi di riduzione della plastica intrapresi da politica e industria? “In questo periodo sicuramente i governi hanno ricevuto notevoli pressioni da parte dell’industria della plastica e del packaging a sospendere divieti o direttive in atto. La Commissione Europea ha dismesso tale petizione riaffermando il percorso precedentemente intrapreso riguardo la plastica monouso, e il Parlamento Europeo ponendo il Green New Deal al centro del piano di rilancio ha riconosciuto l’urgenza di accelerare li percorso verso una trasformazione sostenibile riconoscendo il legame tra pandemia ed ecosistemi sotto stress. Certamente adesso che sono stati approvati i fondi per un rilancio in chiave sostenibile, dipenderà ai singoli stati e al tessuto economico e sociale dare risposte adeguate.”  
In merito alle abitudini sul riciclo della plastica, l’ago della bilancia pende più verso le pratiche di sostenibilità a supporto del problema ambientale oppure verso un ritorno all’utilizzo di plastica monouso per far fronte al problema sanitario “Negli ultimi anni avevamo assistito, anche grazie al movimento giovanile, ad una maggiore consapevolezza sulla necessità di un cambiamento nelle nostre abitudini, che è messa in questione da quei messaggi di cui accennavo prima. La contrapposizione tra salute e sostenibilità portata avanti in alcuni ambiti è fuorviante. I dati ci dicono che negli ultimi anni abbiamo continuato ad aumentare la produzione e il consumo di plastica nonostante la gravità del problema. E’ un problema molto serio che va affrontato oggi e non domani. Dobbiamo tenere conto del quadro complessivo per puntare su soluzioni che garantiscano le condizioni sanitarie, ci aiutino a contenere il virus e che siano non impattanti dal punto di vista ambientale.”  
Dopo questa esperienza come considera la ricerca tramite i Big Data? Quali sono i fattori favorevoli e quali invece gli aspetti da migliorare? “L’analisi dei Big Data unita ai modelli di Intelligenza Artificiale rappresenta uno strumento molto potente e trasversale, con molteplici applicazioni in diversi ambiti, per esempio nell’analisi di fenomeni complessi e in evoluzione, nella pianificazione, nel supporto alle decisioni, e nell’analisi di cambiamenti e reazioni sociali. Le potenzialità sono smisurate e ancora in fase di esplorazione. La sfida è quella di trasformare in tempo reale dati eterogenei provenienti da fonti diverse e con livelli di accuratezza diversi in informazioni significative dal punto di vista applicativo e affidabili. Tanti passi avanti sono stati fatti ma possiamo ancora crescere, per esempio nella creazione di nuovi modelli di business per la condivisione dei dati e di strumenti di analisi soprattutto su temi di interesse comune legati per esempio alla prevenzione, pianificazione e supporto alle decisioni. Altro problema noto è legato all’uso dei dati e alla privacy.”  
In generale in Italia c’è ancora poca consapevolezza sul valore strategico dei dati. Secondo lei per quale motivo? Come possiamo abbattere i timori e permettere a chiunque di trarre beneficio da queste preziose informazioni? “Fino a 10 anni fa i dati venivano raramente utilizzati nei processi decisionali o nella pianificazione del business, mentre oggi sono riconosciuti come elementi in grado di garantire un supporto manageriale di rilievo. Sono stati fatti molti passi avanti, è un percorso non solo conoscitivo – che riguarda l’acquisizione di competenze digitali – ma anche culturale, di maggiore apertura verso l’innovazione tecnologica vista come opportunità di sviluppo del business e integrata nelle diverse realtà imprenditoriali. Per favorire l’uso dei dati come strumento strategico penso sia importante, da un lato, garantire gli aspetti di base quali privacy e riservatezza, e d’altra parte, puntare i riflettori su esempi e storie di successo, mostrando come l’utilizzo e l’analisi dei dati possa, nel concreto, fare la differenza nelle diverse realtà imprenditoriali.”  
E in questo percorso culturale le parole chiave vanno usate responsabilmente? “Come dicevamo prima, talvolta interi settori tecnologici vengono sintetizzati attraverso parole chiave quali Big Data o AI. Questo processo di semplificazione è naturale e immediato, ma può rappresentare un problema. Se è vero che utilizzare una rappresentazione semplificata può aiutare la comunicazione, è altrettanto vero che dobbiamo stare attenti a non banalizzare concetti, riducendone il valore e uniformando le proposte. Oggi le parole AI e Big Data occupano spesso messaggi di marketing, eppure all’interno di questo universo ci sono notevoli differenze e disconoscere queste differenze può avere conseguenze per un’azienda, per esempio in termini di ritorno degli investimenti, costi, efficacia e impatto sui clienti, ma anche di affidabilità e sicurezza.”  
Se dovessimo racchiudere la visione della Dott.ssa Tulone in una parola, sarebbe la “cooperazione”, cioè il riflesso di una collaborazione dinamica e creativa tra realtà diverse ma accomunate da un obiettivo. L’obiettivo di oggi è rilanciare il business definendo insieme un futuro più sostenibile e resiliente dal punto di vista ambientale, sociale e economico. Una parola fortemente condivisa da Maxfone, perché il futuro non può più fare a meno della tecnologia e dei dati, e non può essere costruito se non prima riparando il presente.

[1] Fonte: D. Tulone, “Plastic reduction and covid-19: opponents or allies?”, 2020.

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